La Marine

La Marine (G. Brassens – P. Fort)

Amori di Marinai

Negli amori di un solo giorno si ritrovan condensati
I deliri ed i tormenti degli amori prolungati.
Sono, di noi marinai, le passioni dolci-amare.
Attracchiamo. Presto! Baci e un corpo da accarezzare!

Grandi gioie, grandi dolori, musi lunghi, nuovi languori:
Nulla manca, in quelli nostri, della forza dei grandi amori.
Deponiamo, a bocca piena, dolci baci sui seni belli,
E altri ancora, come uova calde, nel nido dei folti capelli.

E così in un solo giorno, di cui si dilatano i tempi,
Avviene che, di volta in volta, si è contenti, scontenti, contenti.
Nella camera c’è odore di amore dolce e di pece,
Che dà gioia, che ti strugge, e tutto questo ti piace.

Non si è qui per chiacchierare… Ma si pensa, facendo l’amore,
Che domani sarà un altro giorno e questo fa male al cuore.
È il destino del marinaio e delle sue innamorate:
Lui sa che del paradiso troverà le porte sbarrate.

Bruciam pure tutte le ore, blocchiamo al tempo la via,
Rimpinziamolo di ogni peccato, sì, va bene, e tuttavia,
Negli amori di un solo giorno si ritrovan condensati
I deliri e i tormenti degli amori prolungati.

Giuseppe Setaro ©2003


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Bonhomme

Bonhomme (G. Brassens)

Per il suo uomo

Con un vento di tempesta,
Lei, come bestia da soma,
Cerca legna nella foresta
Per scaldare il suo uomo,
Che sta per morire di
Morte naturale.

Tutta mesta se ne va
In quella foresta buia
Dove tanto tempo fa
Lei l’amore sognò già
Dell’uomo che muore di
Morte naturale.

Niente mai fermerà
Quella vecchia che raccoglie,
Con le dita rattrappite,
Rami tra le foglie,
Per l’uomo che muore di
Morte naturale.

No, nulla la fermerà,
Né la voce maledetta:
“Anche se in fretta farai,
A casa già troverai
Il tuo uomo morto di
Morte naturale”.

Né quell’altra voce di
Malanno che le ricorda
Che un giorno lui la tradì
(E il cuore ancor le morde),
Quel suo uomo che muore di
Morte naturale.

Giuseppe Setaro ©2004


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Pénélope

Pénélope (G. Brassens)

Penelope

O tu sposa modello, angelo della casa
Senza nessuno strappo sul tuo vestito da sposa,
Penelope incorruttibile,
Non sviando dalla strada
di onore e fedeltà,
Non hai mai carezzato, senza malvagità,
Dei sogni un po’ proibiti,
Dei sogni un po’ proibiti?

Dietro quelle tue sbarre, nel tuo nido protetto,
Aspettando il ritorno di un Ulisse imperfetto,
China sulla tua tela,
Nelle sere di noia e di melanconia,
Non sei mai stata attratta dal ciel di un altro letto
Contando delle nuove stelle,
Contando delle nuove stelle?

Non ti è ancora successo
d’invocare irrequieta
L’occasionale amorazzo,
la sbandata segreta,
Che racconta bagatelle,
Che mette margherite nell’orto delle zucche
E la mela proibita sull’albero da frutta,
E lo scompiglio nei tuoi pizzi,
E lo scompiglio nei tuoi pizzi?

Non hai desiderato d’incontrare per strada
L’angelo galeotto, che con l’arco puntato
Scocca frecce infallibili,
Che fan bruciar le carni di statue inanimate,
Ne scuote il piedistallo della loro virtù,
Strappando la foglia di fico,
Strappando la foglia di fico?

Non temere per questo che il cielo ti condanni,
Non è una colpa grave, no, non provoca danni.
Il cuore batte e galoppa!
È una mancanza lieve, è un peccato veniale,
È la faccia nascosta della luna di miele.
Penelope, è il tuo riscatto,
Penelope, è il tuo riscatto.

Giuseppe Setaro ©2001


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Les Passantes

Les Passantes (G. Brassens – A. Pol)

Le passanti

Dedicherò questa poesia
Alle donne incontrate per via,
Per qualche istante, di sfuggita.
A quelle che si conoscono appena,
Che incontri una sola volta nella vita
E che il destino ti porta via.

A quella che uno vede affacciare
Alla finestra e un momento indugiare
E che poi svanisce lesta,
La cui figura delicata
È così snella e così aggraziata,
Che il ricordo sempre in te resta.

Alla compagna di un viaggio
I cui occhi, splendido paesaggio,
Fanno sembrare breve il percorso;
Che, pensi, sei il solo a capire
E che poi ti lasci sfuggire,
Senza averne sfiorato la mano.

A quelle che sono già legate,
Ma che non sono più innamorate
Di un uomo che troppo ha deluso.
Vi hanno, inutile follia,
Fatto vedere la malinconia
Di un avvenire disperato.

Ma, se si è falliti in amore,
Si pensa con un po’ di languore
Alla felicità intravista,
Ai baci che non si è osato dare,
Alle donne che non si è potuto amare,
Agli occhi che non si rivedranno mai.

Allora le sere di stanchezza,
Non sapendo come vincer l’amarezza
Di tanti inutili rimpianti,
Si piangono le labbra assenti
Di tutte le belle passanti,
Che non si rivedranno mai.

Giuseppe Setaro ©2003


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La Marche Nuptiale

La marche nuptiale (G. Brassens)

Marcia nuziale

Matrimoni per amore, matrimoni per convenienza:
ne ho visto sposarsi in tanti, ricchi o nell’indigenza.
Gente di bassa lega o anche del gran mondo;
vissuta in alto loco, uscita da un bassofondo…

Anche se andassi oltre i confini della storia,
conserverei per sempre ben chiara la memoria
delle nozze modeste dei miei genitori,
andati in municipio per riscattar l’onore.

Fu su un carro da buoi tirato dagli amici,
e non in limousine che, commossi e felici,
i vecchi innamorati andarono a suggellare
i tanti anni trascorsi ad amarsi e a litigare.

Strano corteo nuziale senza alcuna etichetta,
la gente ci guardava stupefatta e interdetta,
Ci covava con gli occhi con aria quasi ostile,
non avendo mai visto un matrimonio in quello stile.

Ed ecco soffia il vento e fa volare il berretto
che mio padre nelle due mani si teneva ben stretto…
Poi il cielo gonfio di pioggia si mette a tuonare,
come per sentenziare: “’Ste nozze non s’han da fare”.

Non scorderò mai la sposa che si disperava,
mentre il bouquet di fiori sul petto suo cullava;
Io soffiavo nella mia armonica fino a sentirmi male,
e sembrava udir suonare il grande organo in cattedrale.

Alzando i pugni al cielo, paggetti ed invitati
gridavano: “Per Giove!”, sconvolti ed infuriati,
“Le nozze si faranno, crepino gli invidiosi!
Le nozze si faranno: viva, viva gli sposi!”

Giuseppe Setaro ©2002


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La non-demande en mariage

La non-demande en mariage (G. Brassens)

La non domanda di matrimonio

La freccia a Cupido non rimandiamo
Amata mia, non gli facciamo
Questo sfregio.
Tanti amanti ci hanno provato
E molto caro hanno pagato
Il sacrilegio.

Ho il grande onore di non
Chieder la tua mano,
In calce a pergamene
Firme non apponiamo.

Liberi come uccelli in volo,
Saremo prigionieri solo
Sulla parola.
Al diavolo le cuoche provette
Che sono tutto il giorno addette
Alla casseruola.

Afrodite invecchia spesso,
Preparando l’arrosto e il lesso
Chiusa in cucina…
Per nulla al mondo io vorrò sfogliare
La margherita e l’amore affogare
In una fondina.

L’interesse è presto annullato,
Se ogni segreto viene svelato
Su Melusina.
Sbiadisce l’inchiostro dei dolci biglietti
Se sono nascosti dentro le ricette
Di cucina.

Ovvio e normale potrà sembrare
Con la frutta matura preparare
La confettura,
Ma se è cotto il frutto proibito
Ci si accorge che è del tutto svanito
Il gusto “nature”.

Di una cameriera, di una servetta,
Che tutto in casa pulisce e rassetta
Non ho bisogno…
Ma una eterna fidanzata,
Che a me resti sempre legata
sempre io sogno.

Giuseppe Setaro ©2005


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Le Grand Pan

Le Grand Pan (G. Brassens)

Il grande Pan

Al tempo in cui il dio Pan regnava,
Gli ubriaconi eran protetti;
Numi e geni erano tanti
Che avanzavano barcollanti.
Se per le troppe coppe bevute
I bevitori eran belli e fatti,
C’eran quelli che quatti quatti
Contavano i tappi.
Anche il peggior vinello era centellinato,
Da Sileno o da Noé veniva distillato.
Il vino dava lustro persino ad un vigliacco,
E un misero inciuccato sembrava proprio Bacco.

Ma poi arrivò quel tale, guru universale:
Con la sua cricca, tutto occupò.
Lui mise tutti in riga e tutto riformò,
E dal cielo gli dèi cacciò.
Anche oggi avviene che la gente beve ancora
E il vino fa brillare le nostre facce smorte,
Ma gli dèi non ci proteggono più, tutto va storto:
Bacco è alcolizzato e il grande Pan è morto.

Quando una coppia d’innamorati
Erano intenti ad amoreggiare,
Tanti passanti emozionati
Si fermavano a sospirare.
Fin dall’alto dei Campi Elisi
Accorrevano spediti
Ad incitar gli amanti audaci
E a contarne i baci.
Anche un piccolo flirt veniva benedetto,
Da Venere e Cupido veniva protetto,
L’amore dava lustro persino a un rimbambito,
E la sua ganza sembrava quasi Afrodite.
Ma poi arrivò quel tale, guru universale:
Con la sua cricca tutto occupò.
Lui mise tutti in riga e tutto riformò,
E dal cielo gli dèi cacciò.

Anche oggi succede che i cuori battono ancora,
E la regola del gioco è la stessa per l’amore,
Ma gli dèi non ci proteggono più, tutto va storto:
Venere è una squillo e il grande Pan è morto.

E quando fatale suonava l’ora
Di avviarsi all’ultima dimora,
C’erano il genio, il nume e il saggio
Che ti rendevan l’estremo omaggio.
Si andava all’impero celeste
Come si va ad una festa:
Bisogna ammetter ch’era bello
Partire in battello.
Anche i morti sfigati venivano onorati
Da Plutone o da Caronte erano traghettati,
E anche all’ultimo gnocco l’anima era concessa,
E questa, com’è ovvio, in cielo era ammessa.

Ma poi arrivò quel tale, guru universale:
Con la sua cricca tutto occupò.
Lui mise tutti in riga e tutto riformò,
E dal cielo gli dèi cacciò.

Anche oggi succede che la gente muore ancora,
Ma la fossa è la sola nostra dimora:
Gli dèi non ci proteggono più, tutto va storto:
La morte è un grande lutto e il grande Pan è morto…

E uno degli ultimi dèi supremi, onnipotenti
Non sarà più a suo agio e non sarà contento.
Un bel giorno vedremo Cristo
Scendere dal Calvario e dire a denti stretti:
“Non mi metto più in gioco per questi poveretti!
Temo che la fine del mondo sarà triste”.

Giuseppe Setaro ©2004


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Chanson pour l’Auvergnat

Chanson pour l’Auvergnat (G. Brassens)

Canzone per il contadino lucano

Dedico a te questa canzone,
Contadino lucano che, semplicemente,
Mi regalasti un po’ di carbone
Quando il freddo era pungente;
Tu che mi desti un po’ di fuoco
Quando tutti i benpensanti,
Quelli che non chiamiamo gentaccia,
M’avean chiuso la porta in faccia…

Null’altro era che un po’ di calore,
Che il mio cuore riscaldò
E continua a scaldarmi ancora,
Come fosse un grande falò.
Tu, contadino, quando te ne andrai
E questo mondo lascerai,
Troverai il riposo eterno
Accanto al Padre Eterno.

Dedico a te questa canzone,
A te, ostessa che, semplicemente,
Mi desti qualche pezzo di pane
Quand’io morivo di fame;
Tu che mi apristi la tua dispensa
Quando tutti i benpensanti,
Quelli che non chiamiamo gentaccia,
M’avean chiuso la porta in faccia…

Null’altro era che un po’ di pane,
Ma oltre a placar la fame
Continua a scaldarmi il petto,
Come fosse un grande banchetto.
Tu, ostessa, quando te ne andrai
E questo mondo lascerai,
Troverai il riposo eterno
Accanto al Padre Eterno.

Dedico a te questa canzone,
A te sconosciuto che, semplicemente,
Il giorno in cui fui arrestato,
Mi sorridesti mestamente;
Tu che non mi hai umiliato
Quando tutti i benpensanti,
Ridevano ch’io fossi insultato,
E nel vedermi ammanettato.

Null’altro era che un po’ di miele
Ma mi aveva scaldato dentro
E continua a scaldarmi ancora,
Come fosse un sole ardente.
Tu, sconosciuto, quando te ne andrai
E questo mondo lascerai,
Troverai il riposo eterno
Accanto al Padre Eterno.

Giuseppe Setaro ©2005


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Les Philistins

Les Philistins (G. Brassens – J. Richepin)

Filistei

Filistei, bottegai,
Intenti ad accarezzare,
Contenti,

Le legittime consorti,
Pensano di procreare,
Convinti

Che i loro nati saranno
Ben pasciuti e ben rasati
Notai.

Ma per esser castigati,
Eccoli, freschi arrivati
Al mondo,

Dei marmocchi non voluti
Che diventan capelluti
Poeti…

Pensavate: essi saranno
Ben pasciuti e ben rasati
Notai.

Ma per esser castigati,
Eccoli, freschi arrivati
Al mondo,

Dei marmocchi non voluti
Che diventan capelluti
Poeti…

Giuseppe Setaro ©2003


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Celui qui a mal tourné

Celui qui a mal tourné (G. Brassens)

Il povero assassino

Era da tempo immemore che
Non avevo pane per me,
Non mettevo nell’acqua il vinello
Né il carbone nel mio fornello.
I beccamorti pregustavan la gioia
Di vedermi stender le cuoia:
Il momento mio era arrivato…
Ed allor mi son ribellato.

Non andando per il sottile
Accoppai con un badile
Un tizio fatto d’oro colato
Con un colpo ben assestato.
Per me la giustizia arrivò lesta,
E alla sentenza si fece festa:
Carcere a vita mi fu comminato,
Così la colpa avrei espiato.

Ma questo rese scontenti dei tali,
Molti dei comuni mortali,
Che avevano già sentenziato
Che dovevo essere impiccato.
Senza indugio, immantinente,
Si preparava, ‘sta brava gente,
A contendersi un pezzo di corda,
Da tenere come ricordo.

Dopo un secolo fui buttato
Fuori prigione, fui scarcerato.
Dato che sono un sentimentale,
Tornai al quartiere natale:
A testa bassa, rasente il muro,
Sulle mie gambe malsicuro,
Certo che sarei stato disprezzato,
E forse anche in faccia sputato.

Invece, uno mi ha salutato,
Poi un altro mi ha parlato,
E un altro ancora ha voluto
Chiedermi della mia salute.
Capii allora che, in fondo in fondo,
C’è tanta gente brava in questo mondo,
E versai, senza pudore,
tutto il pianto che avevo in cuore.

Giuseppe Setaro ©2004


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Oncle Archibald

Oncle Archibald (G. Brassens)

Zio Arcibaldo

O voi profeti dilettanti,
Voi ciarlatani e cavadenti,
Voi birbanti,
Su zio Arcibaldo non contate
Per pagar le vostre abbuffate,
Alle feste, alle feste…

Correndo dietro a uno che
La sua ora gli avea scippato,
Stranamente,
Zio Arcibaldo, mondo dannato,
Si trovò in faccia alla Morte
In un niente, in un niente…

Come una donna di mestiere,
Batteva il marciapiede del
Cimitero.
Adescava gli uomini mostrando
Le sue nudità indecenti,
Per intero, per intero…

Lo zio Arcibaldo inorridito
Le disse, puntandole il dito,
“Maledetta!
Delle ossa tue non so che fare,
La sola donna ch’io possa amare
È rotondetta, rotondetta”…

La Morte allor s’inalberò,
Sul nero cavallo montò,
E, col falcione,
Stroncò il povero Arcibaldo,
Fulmineamente e senza alcuna
Compassione, compassione…

Dato che lui era scontento,
Lei gli disse: “Per molto tempo
Io ti ho amato;
Le nostre nozze, bello mio,
Eran decise fin da quando
Tu sei nato, tu sei nato…

Se a me tu ti abbandonerai,
Liberato ti sentirai
Dagli assilli:
Più non sarai alla portata
Dei cani, dei lupi e
Degl’imbecilli, imbecilli…

Qui nessuno può limitare
I tuoi diritti: puoi dileggiare
I comunisti.
Se poi hai voglia di cambiare,
Ad alta voce, puoi schernire
I fascisti, i fascisti.

Tutto ormai sarà cambiato,
Tu non sarai più comandato
Da padroni.
D’ora in poi non piegherai
Più la testa davanti ai
Capoccioni, capoccioni”.

Lo zio Arcibaldo prese allora
Sotto braccio la sua signora,
Non scontento…
Ed eccoli partire insieme,
Partir per la luna di miele
Senza tempo, senza tempo.

O voi profeti dilettanti,
Voi ciarlatani e cavadenti,
Voi birbanti,
Su zio Arcibaldo non contate
Per pagar le vostre abbuffate,
Alle feste, alle feste…

Giuseppe Setaro ©2001


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Gastibelza

Gastibelza (G. Brassens – V. Hugo)

Gastibelza

Gastibelza, l’uomo dalla carabina,
Così cantava:
“Uno di voi ha visto Sabina,
Mentre passava?
Ballate, villani, la notte guadagna
Il monte Diazzo…
Il vento che soffia fra quelle montagne
Mi rende pazzo.

“Uno di voi ha incontrato Sabina,
La mia signora?
Sua madre era la magrebina
Di Villadora,
Che di notte gridava come un vecchio gufo
In cima al torrazzo…
Il vento che soffia fra quelle montagne
Mi rende pazzo.

“In suo confronto la regina era brutta
Quando verso sera
Ella passava sul ponte di Toledo
In seta nera.
Di collane dell’epoca di Carlo Magno
Ne indossava un mazzo…
Il vento che soffia fra quelle montagne
Mi rende pazzo”.

Il re, vedendola così bella,
Diceva all’Infante:
“Per un suo bacio, per starle vicino
Esserne l’amante,
Nipote Don Ruy, darei tutta la Spagna
Il Perù e Durazzo”…
Il vento che soffia fra quelle montagne
Mi rende pazzo.

“Non so se proprio amavo quella dama
Ma per farle omaggio,
Per attirar su di me un suo sguardo
Io, cane randagio,
Avrei accettato di stare in catene
In un tetro palazzo…
Il vento che soffia fra quelle montagne
Mi rende pazzo.

“Quando la vedevo, io, il cacciatore
Di quel distretto,
Credevo vedere la bella Cleopatra
Che, come ci è detto,
Fece di Cesare re d’Alemagna
Oggetto di lazzo…
Il vento che soffia fra quelle montagne
Mi rende pazzo.

“Ballate, villani, la notte scende.
Sabina il cuore
Ha venduto un giorno, la sua grazia di colomba,
E il suo amore,
Per l’anello d’oro del conte di Alagna,
Per un amorazzo…
Il vento che soffia fra quelle montagne
Mi ha reso pazzo…

Giuseppe Setaro ©2003


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Colombine

Colombine (G. Brassens – P. Verlaine)

Colombina

Leandro fa il matto,
Pierrot fa un salto
Da pulce
Superando il cespuglio,
Cassandra nel suo Cappuccio,

L’astuto Arlecchino
A tutti fa
L’inchino,
Costumi sgargianti,
E mascherati occhi
Lucenti.

– Do, mi, sol mi fa, –
Ride la gente
E canta
E balla davanti
A una bimba e
S’incanta.

Gli occhi suoi perversi,
Come quelli tersi
Dei gatti,
Dicon con malìa:
“Giù le zampe, E via!”

– Do, mi, sol, mi, fa, –
Ride la gente
E canta,
E balla davanti
A una bimba e
S’incanta.

Questa maliziosa
Le gonne solleva
Lesta.
Con la rosa in testa
Guida quel gregge
In festa.

Giuseppe Setaro ©2003


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Je rejoindrai ma belle

Je rejoindrai ma belle (G. Brassens)

Vado dalla mia bella

All’ora del pastore,
Sfidando la malora,
Prendo la passerella,
Vado dalla mia bella,
All’ora del pastore,
Sfidando la malora,
E niente mai mi fermerà.

Una nuvola nera
Scatena la bufera,
E vola via la passerella,
Una nuvola nera
Scatena la bufera.…
Di passerelle, non ce n’è più.

Se il vento infuriato
I ponti mi ha tagliato,
Prendo la bilancella,
Vado dalla mia bella,
Se il vento infuriato
I ponti mi ha tagliato
Niente mai mi fermerà.

Un flutto scatenato
Un corsaro ha portato,
Che rubato ha la bilancella,
Un flutto scatenato
Un corsaro ha portato…
Di bilancelle, non ce n’è più.

Se quel pirata matto
La barca mi ha sottratto,
Metto le ali al cuore
E vado dal mio amore,
Se quel pirata matto
La barca mi ha sottratto,
Come un uccello volerò.

“ Il cacciator si è mosso:
Ti sparerà addosso,
In mare precipiterai.
Il cacciator si è mosso:
Ti sparerà addosso…
Dalla tua bella non andrai più”.

Se come ultimo atto
Un buco in acqua ho fatto,
A lei non feci torto,
Fedele a lei son morto,
E il cuore suo si degni,
Nel prender nuovi impegni,
Di aspettare almeno un po’.

Giuseppe Setaro ©2005


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Saturne

Saturne (G. Brassens)

Saturno

È pensoso, ed è taciturno,
Governa le leggi del tempo,
Porta come nome “Saturno”,
E avanza implacabile e lento,
Porta come nome “Saturno”,
E avanza implacabile e lento.

Seguendo il suo cammino noioso,
Per distrarsi almeno un po’,
Si diverte ad avvizzir le rose,
Il tempo ammazza il tempo come può.
Si diverte ad avvizzir le rose,
E ammazza il tempo come può.

Nel gioco perfido del dio Saturno
Oggi è arrivato il nostro turno:
Nei tuoi capelli ha sparso il sale,
Convinto di farci del male.
Nei tuoi capelli ha sparso il sale,
Convinto di farci del male.

Ma son belli i fiori d’autunno,
Tutti i poeti li han cantati,
Non son certo i fiori di giugno,
Ma son da me anche più amati.
Non son certo i fiori di giugno,
Ma son da me anche più amati.

Vieni, sposa della mia vita,
Scendiamo insieme in giardino
A sfogliare la margherita
Dell’estate di San Martino.
A sfogliare la margherita
Dell’estate di San Martino.

Conosco le tue grazie a memoria,
Non basteranno mille anni di storia
Perch’io le possa dimenticare,
Lasciam perciò la clessidra girare.
E la mocciosa di rimpetto
Può andare a coprirsi il petto.

Giuseppe Setaro ©2001


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Ballade à la lune

Ballade à la lune (G. Brassens – A. de Musset)

Ballata alla luna

È nella notte bruna
Sul campanile, lì,
La luna,
Come un punto sulla “i”.

Quale spirito arcano
Ti trascina con un filo,
Nel buio,
Di faccia o di profilo?

Del ciel orbo tu sei
L’occhio che ci scorta,
Spione,
Con la tua maschera smorta?

È forse un grosso baco,
Che rode il tuo disco,
Che si è allungato,
Come falcetto assottigliato?

Sei tu, io lo suppongo,
Il quadrante di ferro,
Il gong,
Per i dannati dell’inferno?

Sulla faccia che viaggia
Stasera hanno contato
Che età
Ha la loro eternità?

Chi ti aveva pestato
Un occhio? Avevi forse
Investito,
Di notte, un albero appuntito?

Poiché, pallida e triste,
Sul vetro mio apparisti,
Ammaccata,
Attraverso la cancellata

Sempre ringiovanita,
Tu sarai dal passante
Benedetta,
Luna piena o calante.

Con la neve o col vento,
Io stesso, ogni tanto,
Che vengo a fare
Sedendomi qui a guardare?

All’imbrunire vedo,
Sul campanile, lì,
La luna,
Come un punto sulla “i”.

Giuseppe Setaro ©2003


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Il n’y a pas d’amour heureux

Il n’y a pas d’amour heureux (G. Brassens – L. Aragon)

Non ci sono amori felici

Nulla è mai scontato per l’uomo: né la forza
Né la debolezza e nemmeno il suo cuore
E quando apre le braccia forma la croce del suo dolore
E se il suo bene stringe, lo soffoca, lo strozza
La sua vita è uno strano e doloroso divorzio
Non ci sono amori felici

La sua vita è come quella di quei soldati inermi
Che furono addestrati per un diverso destino
A cosa serve loro svegliarsi il mattino
Loro che sono inerti, sono disorientati
Ripeti con me, cara, e non emozionarti
Non ci sono amori felici

Mio grande, mio caro amore, mia lacerazione
Ti porto dentro me come un uccello ferito
E il passante che non sa ci guarda un po’ smarrito
Ripetendo con me le parole che ho intrecciate
E che per i tuoi grandi occhi furono cancellate
Non ci sono amori felici

Imparare come si vive ormai è troppo tardi
Quanto hanno pianto in due i nostri cuori affranti
Quanto occorre soffrire per una sola canzone
Quanti rimpianti poi per la minima emozione
E quante lacrime ancora per un suono di chitarra
Non ci sono amori felici

Giuseppe Setaro ©2003


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Dans l’eau de la claire fontaine

Dans l’eau de la claire fontaine (G. Brassens)

Nell’acqua del limpido stagno

Nell’acqua del limpido stagno
Tutta nuda faceva il bagno.
Quando un colpo di vento malandrino
Le sue vesti portò via quel mattino.

Ella mi fece segno tutta angosciata,
Per rivestirla, di cercare
Di fico qualche foglia intrecciata
E rami dietro cui riparare.

Le confezionai un corsetto,
Con pochi fiori di mimosa
E poi per coprir tutto il resto,
Mi bastò soltanto una rosa sola.

Le braccia e le labbra lei mi tese
E tanta passione mi prese,
D’abbracciar così forte l’amata,
Ch’ella fu di nuovo spogliata.

Il gioco alla fanciulla piacque tanto
Che spesso lì faceva il bagno,
Sperando che un bel colpo di vento
Si alzasse intorno a quello stagno,
A quello stagno…

Giuseppe Setaro ©2002


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La Légende de la Nonne

LA LÉGENDE DE LA NONNE (G. BRASSENS – V. HUGO)

La leggenda della suora

Venite, venite bimbi belli,
Ad ascoltare una storia ancor.
Avvicinatevi: vi dirò quella
Di Doña Padilla del Flor.
In tutta la Spagna non c’era fanciulla
Di lei più casta, di lei più bella.
Bambini, i tori si son mossi:
Su, nascondete i grembiuli rossi!

Ella a Toledo entrò in convento
E in tutti ci fu sorpresa e scontento,
Come se una donna bella
Non avesse il diritto di chiudersi in cella.
Poco mancò che gli abitanti
Non si sciogliessero in pianti.
Bambini, i tori si son mossi:
Su, nascondete i grembiuli rossi!

Or la bella, appena rinchiusa,
Fu dall’amore assediata:
Un rude brigante del distretto
Si presentò al suo cospetto.
Succede talvolta che i banditi
Dei cavalieri siano più arditi.
Bambini, i tori si son mossi:
Su, nascondete i grembiuli rossi!

La suora diede appuntamento
Nella chiesa del suo convento
Al bandito dall’inferno mandato
Sotto la statua di San Donato,
Al buio, quando i corvi gracchianti
Nel cielo volano in tanti.
Bambini, i tori si son mossi:
Su, nascondete i grembiuli rossi!

Appena scesa nella navata,
La suora il bandito chiamò,
Ma invece della voce invocata,
In risposta un lampo scoppiò.
Dio volle che fossero puniti
Gli amanti da Satana uniti.
Bambini, i tori si son mossi:
Su, nascondete i grembiuli rossi!

Questa storia della novizia,
L’abate Ildefonso decretò,
Per preservare dal vizio
Le suore votate alla castità,
Che ogni badessa la raccontasse
Nella propria comunità.
Bambini, i tori si son mossi:
Su, nascondete i grembiuli rossi!

Giuseppe Setaro ©2003


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Le Petit Cheval Blanc

LE PETIT CHEVAL BLANC (G. BRASSENS – P. FORT)

Il Cavallino Bianco

Il cavallino nella bufera,
Quanto coraggio aveva!
Era un cavallino bianco:
Tutti dietro, tutti dietro,
Era un cavallino bianco,
Tutti dietro e lui davanti era.

E non c’era mai bel tempo
In quel cupo paesaggio,
Non c’era mai primavera:
Tutti dietro, tutti dietro,
Non c’era mai primavera,
Tutti dietro e lui davanti era.

Ma sempre lui era contento,
A capo dei ragazzi del villaggio,
Nei campi con la pioggia nera:
Tutti dietro, tutti dietro,
Nei campi con la pioggia nera,
Tutti dietro e lui davanti era.

Il suo traino inseguiva sempre
La sua bella coda selvaggia,
Ed allora era contento:
Tutti dietro, tutti dietro,
Ed allora era contento,
Tutti dietro e lui davanti era.

Ma un giorno di brutto tempo,
Lui che tanto bravo era,
È morto per un lampo bianco:
Tutti dietro, tutti dietro,
È morto per un lampo bianco,
Tutti dietro e lui davanti era.

È morto senza vedere il bel tempo,
Quanto coraggio aveva!
Senza vedere la primavera:
Tutti dietro, tutti dietro,
Senza vedere la primavera,
Tutti dietro e lui davanti era.

Giuseppe Setaro ©2003


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Le Parapluie

LE PARAPLUIE (G. BRASSENS)

Il Parapioggia

Lei camminava sotto la pioggia
Che a catinelle scendeva ormai.
Per mia fortuna un parapioggia
Fra le mani io mi trovai;
A lei proposi, tutto carino,
Di accompagnarla per un po’.
Scacciando l’acqua dal suo musino,
Sorridendo lei accettò.

Sotto il mio ombrello
(Perdinci se era bello!)
Avevo il mio paradiso.
Un po’ di paradiso,
Contro un pezzo di ombrello:
Non poteva andarmi meglio!

Com’era dolce, strada facendo,
Udire la musica che
L’acqua del cielo facea picchiando
L’ombrello sopra lei e me.
Come al diluvio, avrei voluto
Che tanta acqua venisse giù,
Perché con me l’avrei tenuta
Quaranta giorni e forse più.

Ma per sfortuna, tutte le vie
Si perdono nelle città,
Così pure la mia follia
Ad un incrocio finì già.
Qui lei mi dovette lasciare,
Dopo aver detto “grand merci”,
E allora la vidi sfumare:
Dal mio ricordo lei svanì…

Giuseppe Setaro ©2005


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Les Copains d’abord

LES COPAINS D’ABORD (G. BRASSENS)

I compagni miei

Non era, no, lo zatterone
Esposto al Louvre, era un barcone,
Che sia ben chiaro in tutti i porti,
Chiaro in tutti i porti:
Solcava acque ben tranquille,
Tra piovre, merluzzi ed anguille,
Ed imbarcava sempre e solo
I compagni miei.

Il suo fluctuat nec mergitur
Non era affatto letteratura,
Che piaccia o meno ai porta iella,
Piaccia ai porta iella
Il capitano e i marinai
Non avevan tradito mai:
Eran fidati e senza nei
I compagni miei.

Non emanavan chiara luce,
Sì come Castore e Polluce,
Gente di Sodoma e Gomorra,
Sodoma e Gomorra;
Da Montaigne e La Boétie
Non furon scelti, quelli lì,
Ma eran fidati e senza nei,
I compagni miei.

Non eran neanche angioletti,
I Vangeli non li avevan letti,
Ma a gonfie vele si volevan
Bene, si volevan bene.
Jean, Pierre, Paul e compagnia
Era la loro litania,
Il loro Credo e Agnus Dei,
Dei compagni amici miei.

Se la iella si presentava,
L’amicizia si rinsaldava
Ed indicava la buona rotta,
La buona rotta;
E quando eran sotto stress
E lanciavano S.O.S.,
No, non facevan piagnistei,
I compagni miei.

Quando insieme ci si trovava,
Il bidone non ci scappava:
Se qualcuno mancava a bordo,
È perché era morto,
E il buco in acqua che lasciava
Mai e poi mai si ricolmava:
Cent’anni dopo, porca malora,
Ci mancava ancora.

Quel battello, ve lo assicuro,
È il solo che ha tenuto duro,
Non virando mai di bordo,
Virando di bordo;
Solcava acque ben tranquille
Tra piovre, merluzzi ed anguille,
E si chiamava I compagni miei,
I compagni miei.

Giuseppe Setaro ©2005


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Le Roi Boiteux

LE ROI BOITEUX (G. BRASSENS – G. NADAUT)

Il Re zoppo

Un re di Spagna oppur del Congo
Aveva un gran callo al pie’.
Era al piede destro, suppongo,
E così zoppicava per tre.

I cortigiani, razza furbesca,
S’impegnarono nell’imitarlo;
E chi a sinistra, chi a destra
Impararono a scimmiottarlo.

Si notò presto il beneficio
Che questa moda procurava,
E dall’anticamera all’ufficio
Ognun di loro zoppicava.

Di provincia, un dì, un bellimbusto,
Trascurando questa nuova usanza,
Passò diritto come un fusto,
Non dando a quella moda importanza.

Tutti quanti risero di cuore,
Con la sola eccezione del re,
Che gli disse: “Ma che disonore:
Tu non zoppichi come me!”.

“Perdonate, sire, avete torto:
Sono pieno di calli, ohimè,
E se sembra che non sono storto,
È che zoppico con i due pie’ ”.

Giuseppe Setaro ©2003


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Le Vin

LE VIN (G. BRASSENS)

Il Vino

Prima di cantare la vita, fare arringhe,
Nella bocca impastata, ho mosso spesso la lingua…
Discendo, si dice, da gente poco sobria,
E fui allattato con il succo d’ottobre…

I miei genitori, è certo, non mi han trovato
Sotto un cavolo come un povero rinnegato…
Ma sotto una vite, o lignaggio divino.
Pulsa nel mio cuore un nettare sopraffino…

Quando uno è savio e ha di bere il gusto,
Sempre a portata tiene di bocca qualche fiasco…
Qualche damigiana, solo per non star male,
A secco del latte del tempo autunnale…

Tanto tempo fa, Tantalo fu condannato
A non poter bere acqua quel disgraziato…
Se si è assetati di acqua, forse si muore,
Ma senza vino la fine è anche peggiore…

Non piove, ahimè noi, quel grosso vino che macchia.
Se ne avessero andrei persino a munger le vacche…
Se di vino un giorno fosse gonfio il Danubio,
Tutti vi annegherebbero le pene, è indubbio…

Giuseppe Setaro ©2002


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Pauvre Martin

PAUVRE MARTIN (G. BRASSENS)

Bravo Martino

Con la sua vanga sulle spalle,
Sulla bocca un dolce cantare,
Sulla bocca un dolce cantare
Ricco soltanto di coraggio,
Nei campi andava a lavorare.

Bravo Martino, quanta miseria,
Il tempo e la terra sempre a scavare!

Per guadagnare il suo pane
Dall’alba fino al tramontare,
Dall’alba fino al tramontare
Con ogni tempo, ogni stagione,
Era nei campi a lavorare!

Bravo Martino, quanta miseria,
Il tempo e la terra sempre a scavare!

Senza mostrare sul suo viso
Invidia, senza mai reclamare,
Invidia, senza mai reclamare
Andava nei campi degli altri,
Passando la vita a vangare!

Bravo Martino, quanta miseria,
Il tempo e la terra sempre a scavare!

Quando la morte gli mostrò
L’ultimo campo da dissodare,
L’ultimo campo da dissodare
Scavò da solo la sua fossa
Docile, senza protestare…

Bravo Martino, quanta miseria,
Il tempo e la terra sempre a scavare!

Scavò da solo la sua fossa,
Di nascosto, senza parlare,
Di nascosto, senza parlare
Ed in silenzio vi si distese,
Umile, per non disturbare…

Dormi, Martino, sotto la terra.
Sepolto dal tempo, puoi riposare!

Giuseppe Setaro ©2002


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Le Mécréant

LE MÉCRÉANT (G. BRASSENS)

Il Miscredente

Non c’è davvero al mondo nulla di più odioso
Di non credere in Dio ed esserne orgoglioso.

Vorrei aver la fede del mio ciabattino,
Beato come un papa, ma anche un po’ cretino.

Uno del mio palazzo, Blaise Pascal di nome,
Mi diede un consiglio che a me parve buono:

“Inginocchiati e prega, prega e poi vedrai
Che a forza di far finta, presto crederai”.

Con le rotule a terra, mi metto a recitare
Tante Ave Maria e poi a salmodiare:

In strada, nei caffè, in treno, in autobus
Tutti i De profundis e tutti gli Oremus.

Intanto fra le ortiche, per caso, io trovai
Un abito talare e presto lo indossai.

Tonsurato di fresco, con la chitarra in mano,
Parto ad indottrinare il genere umano.

M’imbatto in una frotta di devote beghine,
Che ben contente mi si stringono vicine:

“Padre, ci canti, prego, una santa canzone
Atta a favorir la nostra salvazione”.

La chitarra io prendo ben salda fra le braccia,
E canto “Il Gorilla” con qualche parolaccia.

Urlando: “Impostore, fellon, falso, infingardo”
Voglion farmi subir la pena di Abelardo.

Attratta dal baccano, la decana bigotta,
Si mette in mezzo a loro e così le rimbrotta:

“Vi sono tanti maschi che hanno un vizio perverso
Talché prendono sempre il sesso in senso inverso,

A chi le cose ha giuste, lasciamogliele stare,
Dato che sono ormai ben rare da trovare”.

Questo argomento tosto fece grossa impressione,
Mi fecero andar via con grande ovazione.

Verso la fede ormai non farò più un passo:
Son qui ad aspettarla fermo come un masso.

Io non ho mai ucciso, nemmeno mai stuprato,
Solo a diciassett’anni una volta ho rubato.

Se il Padre Eterno esiste, in fin dei conti sa
Ch’io non son peggio di chi la fede l’ha già.

Se il Padre Eterno esiste, in fin dei conti sa
Ch’io non son peggio di chi la fede l’ha già.

Giuseppe Setaro ©2002


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Marquise

MARQUISE (G. BRASSENS – P. CORNEILLE – T. BERNARD)

Marquise

Marquise, se il mio viso
Si presenta un po’ sciupato,
Ricordate che anche il vostro
Un giorno sarà invecchiato.

Il tempo alle belle cose
Si compiace di fare affronti:
Farà avvizzir le vostre rose,
Come corruga la mia fronte.

Passano impietosi i giorni,
Per tutti uguali, senza ritorni.
Sono stato come voi siete,
Quel che sono voi sarete.

Diventerò vecchia, certo –
Dice Marquise – Ma per intanto
Ho ventisei anni, vecchio Corneille,
E di te non mi frega niente.

Ho ventisei anni e son contenta
E di te non me ne frega niente.

Giuseppe Setaro ©2003


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